DA ROMA ALLA TERZA ROMA
XXXVI SEMINARIO INTERNAZIONALE DI STUDI
STORICI
Campidoglio, 21-22 aprile 2016
Jurij Petrov
Direttore dell’Istituto di Storia russa
dell’Accademia delle Scienze di Russia
Mosca
MIGRAZIONI NELL’IMPERO RUSSO, IN URSS E NELLA
FEDERAZIONE RUSSA*
Sommario: 1. Emigrazione. – 2. Immigrazione (arrivo in Russia). – 3. Migrazioni interne: l’esempio della Crimea.
Gli spostamenti
migratori della popolazione hanno caratterizzato la storia russa sin dai primi
momenti della formazione dell’organismo statale. Tuttavia si hanno dati
statistici affidabili solo a partire dal XIX secolo. In questo intervento mi
vorrei soffermare brevemente, per necessità, sulle tre principali epoche
della storia russa degli ultimi 200 anni (Impero russo, Unione Sovietica e
Federazione Russa). Concentrerò l’attenzione sulle tre direzioni
dei flussi migratori: lo spostamento oltre i confini del Paese (emigrazione),
l’arrivo in Russia di cittadini stranieri (immigrazione) e gli
spostamenti della popolazione all’interno dei confini dello Stato (migrazione
interna).
La libera uscita
dai confini dell’Impero russo era stata permessa solo nel 1801, durante
il regno di Alessandro I. L’emigrazione prerivoluzionaria si distingue,
in base alla tipologia degli emigranti, in:
- economica o
professionale (tra la seconda metà del XIX secolo e l’inizio del
XX circa 4,5 milioni di persone si sono trasferite in USA, Canada, Argentina, e
nell’Europa Occidentale). L’emigrazione professionale aveva un
carattere temporaneo: partivano generalmente gli uomini, senza le famiglie, per
raggiungere Germania o Austria, dove venivano impiegati in lavori agricoli;
- religiosa (ha
coinvolto i movimenti religiosi e le sette, coloro che erano perseguitati in
Russia: Mennoniti, Duchobory, Molokani, Vecchi credenti);
- etnica (dopo
l’insurrezione del 1863 ha lasciato la Russia un numero notevole di
Polacchi; dopo il 1864, in seguito alla disfatta nella Guerra del Caucaso, da
quelle zone di alta montagna sono emigrate, oltre i confini dell’Impero,
470 mila persone, dirette prevalentemente in Turchia; a partire dagli
anni’70 del XIX secolo c’è stata l’emigrazione degli
ebrei, divenuta più massiccia in seguito all’ondata di persecuzioni
dei secoli XIX-XX, che inizialmente era diretta verso gli Stati Uniti);
- politica (gli
emigranti politici hanno cominciato a lasciare la Russia dalla prima
metà del XIX secolo, di regola illegalmente, per raggiungere
principalmente Francia e Gran Bretagna; gli emigrati più noti sono stati
А.I. Herzen e V.I.
Lenin).
Inoltre occorre
segnalare le emigrazioni temporanee (stagionali) della nobiltà in Italia
e in Francia, per riposare, curarsi e per turismo, e quelle per studio e istruzione,
che hanno interessato principalmente studenti. Si può comunque affermare
che l’emigrazione ai tempi dell’Impero non ha inciso in modo
rilevante sul numero complessivo della popolazione.
Nel periodo
sovietico, in seguito ai tragici eventi della nostra storia, il quadro è
cambiato radicalmente. Per le migrazioni al di fuori dei confini
dell’URSS si possono evidenziare tre ondate:
1. anni 1917-1940:
emigrazione “bianca”, conseguenza della Guerra civile (gli
emigranti erano rifugiati). Nel periodo che va dal 1918 al 1924, si stima che
l’emigrazione interessò da 1,4 a 3 milioni di persone;
2. anni 1941-1956:
dopo la Seconda Guerra Mondiale si è cominciato a parlare di
‘persone trasferite’, forzatamente esiliate in Germania o anche
partite volontariamente al seguito dell’esercito tedesco in ritirata
(secondo i dati del Tribunale di Norimberga si trattava di 4 milioni e 979 mila
persone);
3. anni 1956-1989:
emigrazioni prevalentemente politiche, con una forte componente etnica
(l’emigrazione degli ebrei ha coinvolto circa 500 mila persone).
Dopo la
dissoluzione dell’Unione Sovietica, la registrazione degli emigranti ha
avuto inizio nel 1993. L’emigrazione degli anni ’90 è stata
principalmente economica, a ragione del peggioramento della qualità
della vita. In relazione a questa ondata, si stima che siano emigrate 800 mila
persone, fino al 2002. Le destinazioni erano USA, Canada, Europa Occidentale e
America Latina.
Agli inizi degli
anni 2000 l’emigrazione dalla Russia ha subito una brusca frenata, grazie
ad una congiuntura economica e politica positiva. Dal 2010 si osserva una nuova
accelerazione dei processi migratori in uscita. Particolarmente rilevante, in
questo periodo, risulta essere il flusso verso i Paesi della CSI. Nel 2014, 308
mila persone hanno lasciato la Russia: di queste, 266 mila si sono stabilite nella
CSI. Contemporaneamente cresce, però, anche il numero di coloro che
arrivano dai Paesi della CSI; ciò a testimonianza del generale
intensificarsi delle dinamiche migratorie. Il primo posto, sia per numero di
partenze sia per quello degli arrivi, è occupato dall’Uzbekistan.
Nel periodo
imperiale la Russia ha accettato di buon grado l’arrivo e lo stabilirsi
degli stranieri nel suo territorio. In testa ai processi di immigrazione, per dimensione,
c’era il trasferimento dei coloni agricoli dalla Germania, ma arrivarono
anche imprenditori, ingegneri, militari, esponenti delle arti (architetti, scienziati,
musicisti, pittori), dell’aristocrazia, come conseguenza di matrimoni
dinastici.
Dopo la Campagna
napoleonica del 1812 molti prigionieri francesi si sono stabiliti in Russia
volontariamente. Una categoria particolare di immigrati era rappresentata dai
rifugiati provenienti dall'Impero Ottomano, dall'Armenia e dalla Grecia, che
generalmente si sono stabiliti nel Caucaso.
Nel periodo
sovietico l’entrata nel Paese era rigidamente controllata dallo stato;
l’immigrazione volontaria era pressoché inesistente. Dopo la
dissoluzione dell’Unione Sovietica il quadro è mutato radicalmente.
La Federazione Russa occupa il secondo posto al mondo per numero assoluto di
immigrati dopo gli Stati Uniti (457 mila persone secondo i dati del 2014). La
quota dei Paesi della CSI, nella struttura generale dei flussi migratori,
rappresenta il 90% (‘strascico imperiale’). Tra i Paesi
dell’‘estero lontano’ le prime posizioni sono occupate (in
ordine decrescente) da Cina, Vietnam e Turchia. Nel 2015, a causa dei
tristemente noti eventi accaduti nell’Ucraina orientale, si è
intensificata l’emigrazione dall’Ucraina verso la Russia: si sono
trasferiti circa un milione di Ucraini.
Secondo i dati del Servizio Federale
per le Migrazioni (ФМС), nel gennaio 2015
si trovavano in Russia 2,2 milioni di cittadini uzbeki, circa un milione di cittadini
tagiki, 600 mila cittadini kazaki, 545 mila cittadini kirghizi e circa 25 mila
cittadini turkmeni. Dunque, risiedono in Russia circa 4,6 milioni di
fuoriusciti dai Paesi dell’Asia Centrale, che sono rimasti nonostante le
difficoltà economiche (calo del rublo) e l’inasprimento della
politica per le migrazioni (lotta contro l’immigrazione clandestina). La
presenza di queste persone in Russia è accompagnata dalla crescita della
criminalità e, in conclusione, genera sentimenti xenofobi nella
società russa. Tuttavia, in condizioni di crisi demografica, il Paese
non può fare a meno dell’afflusso di forza lavoro straniera.
Peraltro, devo sottolineare che l’integrazione degli stranieri in Russia
avviene con discreto successo, soprattutto se si pensa alla grave crisi
migratoria in Europa Occidentale.
I rilevanti
spostamenti di popolazione all’interno dei confini dello stato hanno
sempre rappresentato una particolarità della storia della Russia, il cui
territorio, dal XIV secolo in poi, ha subito un inarrestabile ampliamento,
trasformandosi da piccolo principato alla periferia dell’Europa a impero
continentale mondiale. L’annessione dei nuovi territori è stata
sempre accompagnata da un intenso processo migratorio della popolazione russa
verso le regioni limitrofe e dall’integrazione della popolazione locale
nello spazio politico e culturale comune russo. Esaminiamo questi processi
sull’esempio della Crimea, annessa alla Russia nel XVIII secolo, in
seguito alle guerre con l’Impero Ottomano.
Principalmente la
Crimea era abitata da Tartari (86% della popolazione), sebbene alla fine del
XVIII secolo più di 100 mila tartari fossero emigrati in Turchia. Alla
fine del XIX secolo le autorità russe hanno stabilito condizioni vantaggiose
per i Cristiani che si trasferivano nella penisola: essi erano esonerati per
tre anni dal pagamento delle tasse.
Alle porte della
Guerra di Crimea (1853-1856) l’attiva propaganda del governo turco e
delle autorità religiose musulmane a sostegno dell’idea di
un’imminente conquista della Crimea da parte dell’Impero Ottomano,
ha avuto notevole influenza sulla popolazione tartara. Quando fu chiaro che la
Crimea sarebbe rimasta parte del territorio russo, si rafforzò la
tendenza nella popolazione musulmana ad emigrare in Turchia, dove si professava
la stessa religione. Tanto più che agli emigranti provenienti dalla
Crimea erano state promesse, in Turchia, condizioni estremamente favorevoli e
terre (queste promesse, per molti versi, risultarono essere infondate). In
seguito a questa emigrazione la composizione etnica della popolazione della
Crimea è cambiata. Fino al 1860 l’idea del trasferimento in
Turchia ha attratto una grande parte della popolazione musulmana della Crimea.
Il calo della popolazione tartara è stata notevole: nel 1860 è
diminuita di 116,6 mila persone (da 306 mila persone si passò a 189,4
mila).
Nel 1864 i Tartari
di Crimea costituivano il 50,3% della popolazione, i Russi e gli Ucraini il 28,5 %, i Greci il 6,5 %, gli Ebrei il 5,3 %, gli Armeni
il 2,9 %, i tedeschi il 2,7 %. I Tartari erano, in totale, appena un terzo
di tutti gli abitanti delle città: nelle città i più
numerosi erano i Russi e gli Ucraini, che costituivano il 36% della
popolazione. Sebbene i Tartari in
Crimea continuassero ad essere l’etnia più numerosa, nel 1897 la
loro incidenza è diminuita bruscamente al 35,6% (194,4 mila
uomini). Il calo è stato,
innanzitutto, conseguenza del trasferimento in Crimea di altre etnie. L’incidenza degli Ucraini, seppure
rimanendo di molto inferiore a quella dei Russi (33%) - che, per numero (181
mila persone), erano solo poco meno numerosi dei Tartari - è cresciuta
molto, arrivando al 12%.
Un evento
migratorio molto rilevante per la Crimea sovietica è stato rappresentato
dalla deportazione, nel 1944, di oltre 200 mila Tartari di Crimea nelle Repubbliche
dell’Asia Centrale, in quanto accusati di collaborazionismo con
l’esercito tedesco, durante l’occupazione della Crimea.
Successivamente, fino al 1989, i Tartari di Crimea non erano neppure segnalati
nei censimenti della popolazione dell’URSS, anche se formalmente questo
popolo è stato riabilitato nel 1956. Durante la Perestrojka i Tartari di Crimea sono stati riabilitati
politicamente ed è stato permesso loro di tornare. Nel 2000, in Crimea,
abitavano circa 250 mila Tartari; dopo l’annessione della Crimea alla
Russia, nel 2014, la lingua dei Tartari di Crimea è stata riconosciuta
come una delle tre lingue di stato della penisola. Secondo le stime ufficiali,
dopo il 2014 sono emigrati dalla Crimea in Ucraina 7-8 mila tartari. In base al
censimento del 2014 la popolazione della Crimea risulta formata da tre nazionalità
principali: i Russi costituiscono il 65%, gli Ucraini il 16%, i Tartari il 12%.
Così, alla
fine di una lunga evoluzione storica, si è formata la struttura nazionale
della popolazione della Crimea, prevalentemente costituita da russofoni. Questo
fatto ha determinato i risultati del referendum del 2014 sull’annessione
della Crimea alla Federazione Russa.
[Traduzione dal russo di CATERINA
TROCINI]
[Un
evento culturale, in quanto ampiamente pubblicizzato in precedenza, rende
impossibile qualsiasi valutazione veramente anonima dei contributi ivi
presentati. Per questa ragione, gli scritti di questa parte della sezione
“Memorie” sono stati valutati “in chiaro” dal Comitato
promotore del XXXVI Seminario internazionale di studi storici “Da Roma
alla Terza Roma” (organizzato dall’Unità
di ricerca ‘Giorgio La Pira’ del CNR e dall’Istituto
di Storia Russa dell’Accademia
delle Scienze di Russia, con la collaborazione della ‘Sapienza’ Università di Roma, sul tema:
MIGRAZIONI, IMPERO E CITTÀ DA ROMA A COSTANTINOPOLI A MOSCA) e dalla
direzione di Diritto @
Storia]